Monitoraggio dell’aumento dei prezzi

La ripresa economica solida e le politiche monetarie e fiscali estremamente accomodanti hanno riportato in primo piano il tema del ritorno dell’inflazione.

Nel breve termine, la persistenza delle tensioni è dovuta a numerose ragioni: aumento dei prezzi delle materie prime e dei costi di spedizione, criticità in alcuni settori industriali (in particolare quello dei semiconduttori), esaurimento delle scorte, ma anche aumento dei prezzi nel settore dei servizi dovuto alla riapertura delle economie... Tutti questi fattori hanno contribuito a spingere i prezzi al rialzo: nel mese di aprile sia i prezzi alla produzione che quelli al consumo hanno subito una forte accelerazione in molti Paesi. Inoltre, i sondaggi dei direttori degli acquisti evidenziano in generale un aumento dei prezzi dei fattori di produzione e un allungamento dei tempi di consegna dei fornitori, che lasciano presagire una probabile persistenza delle pressioni inflazionistiche per qualche tempo.

Tuttavia, questa fase potrebbe essere ragionevolmente considerata come temporanea (destinata a durare ancora un paio di mesi), poiché le forniture si adegueranno alle riaperture e le scorte saranno ricostituite. Ciò potrebbe richiedere un po’ più tempo del previsto, poiché le filiere globali hanno subito interruzioni significative. La maggior parte delle banche centrali, tuttavia, probabilmente aspetterà ancora prima di ritirare le misure di sostegno, monitorando l’aumento transitorio dei prezzi, mentre l'attività economica acquisisce slancio. Infatti, la maggior parte delle economie è ben lontana dalla piena occupazione. Nonostante la ripresa dell’attività, ad aprile circa 10 milioni di posti di lavoro mancano ancora all’appello negli Stati Uniti, mentre l’Eurozona è ancora più lontana dal suo tasso di occupazione pre-crisi. Restiamo convinti che le banche centrali eviteranno una stretta prematura, ma il nervosismo dei partecipanti al mercato è comprensibile e i timori sull’inflazione probabilmente ci accompagneranno per qualche tempo... soprattutto perché alcune banche centrali potrebbero ritenere vantaggioso avere un’inflazione un po’ più alta rispetto a prima della pandemia. La Federal Reserve in particolare non ha forse annunciato che avrebbe tollerato un periodo di aumenti dei prezzi superiori al target? Tuttavia, chi aveva scommesso su un aumento duraturo dell’inflazione probabilmente rimarrà deluso: se l’economia dovesse surriscaldarsi, le banche centrali hanno a disposizione moltissimi strumenti per calmare le tensioni!

Date le nostre attuali aspettative di inflazione moderata e tassi d’interesse reali più elevati ma comunque bassi, restiamo complessivamente sovrappesati sulle azioni. Diversamente dalle obbligazioni, le azioni tendono a registrare le performance migliori in uno scenario (moderatamente) inflazionistico. Anche se ad un aumento dei tassi tendenzialmente corrisponde una diminuzione dei P/E delle azioni, la sensibilità alle revisioni del momentum della crescita è ancora più importante. Inoltre, alcune aziende riescono a trasferire l’aumento dei costi ai consumatori, limitando così l’impatto sugli utili. Sul fronte opposto, in questo scenario manteniamo una duration più breve e una posizione di sottopeso in obbligazioni. I rendimenti offerti da questi titoli a più lunga scadenza perdono il loro appeal, perché potrebbero non riuscire più a compensare l’inflazione.

Facendo un passo avanti, i titoli ciclici e value dovrebbero registrare le performance migliori nella fase di crescita di inflazione e tassi, data la loro correlazione positiva all’aumento dei tassi. Questa transizione ha già favorito una rotazione verso i settori value e ciclici, tuttora in atto. Pertanto, la nostra strategia è orientata verso i titoli legati alla ripresa, un irripidimento della curva dei rendimenti e un aumento dei prezzi delle materie prime. Più specificamente, acquistiamo titoli a bassa e media capitalizzazione negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in America Latina. Inoltre, abbiamo una view positiva sulle banche statunitensi e dell’UEM, che traggono i maggiori benefici dal previsto irripidimento della curva dei rendimenti.

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